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Verdi e l’opera italiana a San Pietroburgo
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Verdi e l’opera italiana a San Pietroburgo
Le opere del Maestro sulle scene pietroburghesi: le alterne vicende del repertorio verdiano, tra entusiasmo del pubblico e ostilità della critica.
Autore: Maria Beatrice Venanzi

San Pietroburgo, 1783. La storia dell’opera italiana in Russia inizia con una donna potente e amante della cultura: l’imperatrice Caterina II. È per sua volontà che viene inaugurato il teatro Bol’šoj, in Piazza del Teatro, con il programma di rappresentare, oltre alle tragedie e alle commedie, due opere serie e due opere comiche all’anno. Il 24 settembre 1783 va in scena la prima opera italiana: Il Mondo della Luna di Giovanni Paisiello, un evento che è all’origine della grande popolarità di questo genere in Russia, tanto da superare, a periodi, quella di opere e balletti nazionali.

The Saint Petersburg Imperial Bolshoi Kamenny Theatre, End 1840s. Private Collection. Artist Diez, Samuel Friedrich (1803-1873). (Photo by Heritage Images/Getty Images)
The Saint Petersburg Imperial Bolshoi Kamenny Theatre, End 1840s. Private Collection. Artist Diez, Samuel Friedrich (1803-1873). (Photo by Heritage Images/Getty Images)

L’amore per il belcanto, nella tradizione di Cimarosa e Rossini, porta l’amministrazione all’ingaggio del maestro Federico Ricci, compositore e insegnante di canto, che formerà generazioni di cantanti: Vladimir e Vasilij Vasil’ev, Ferdinando Meo e Olga Koch. La compagnia dell’opera italiana dava diversi spettacoli nel corso di una stagione, generalmente da ottobre a maggio. I cantanti di punta, già in piena età rossiniana, godevano di una fama senza precedenti ed erano acclamati sui palcoscenici di tutta Europa. Nella prima metà dell’Ottocento, sulla scena pietroburghese si esibiscono, con grandiose celebrazioni e festeggiamenti di pubblico: Giovanni Battista Rubini, Mario, Enrico Tamberlick, Giorgio Ronconi, Pauline Viardot, Marietta Alboni, Erminia Frezzolini e Giulia Grisi. Questi interpreti, amatissimi dai fan al pari delle rockstar o degli attori del cinema contemporanei, erano le étoiles che davano la voce ai protagonisti delle opere di Rossini, Donizetti, Bellini e, naturalmente, Verdi.

Ma com’era la situazione in epoca verdiana? Le recensioni del tempo, ricche di informazioni sui cast e sulle reazioni del pubblico, ci aiutano a rispondere a questa domanda. Così scrive Berthold Damcke, corrispondente per la Revue et Gazette Musicale de Paris, nel suo resoconto della stagione pietroburghese 1852/53 per i curiosi melomani europei:

In cinque mesi, hanno avuto luogo 66 rappresentazioni per gli abbonati e una ventina di benefici [concerti in cui un cantante eseguiva le arie migliori del proprio repertorio e incassava i guadagni della serata] e di altre rappresentazioni per non abbonati.1

Le opere andate in scena, con grande soddisfazione del pubblico, sono 17, e Damcke le divide accuratamente per compositore: di Mozart, Don Giovanni; di Rossini, Otello, Cenerentola, Il Barbiere di Siviglia e Guillaume Tell; di Bellini, Norma, La Sonnambula e I Puritani; di Donizetti, Don Pasquale, L’Elisir d’Amore, Lucrezia Borgia e Maria di Rohan; di Verdi, Ernani e Rigoletto, durante i quali, secondo una prassi attestata all’epoca, sono eseguiti come intermezzi dei frammenti da I Due Foscari e da Attila; di Meyerbeer, Gli Ugonotti e Il Profeta (in francese); di Gnecco, La Prova di un’opera seria. È interessante notare la ricchezza e la varietà di questo cartellone che, oltre a proporre titoli italiani e francesi, alterna opere buffe e serie e spazia dal settecentesco Don Giovanni al compositore contemporaneo di punta: Giuseppe Verdi. Il suo Rigoletto era un titolo ancora fresco, visto che la prima dell’opera era avvenuta al Teatro La Fenice di Venezia meno di due anni prima. A dimostrazione della fortuna di Verdi in Russia, inoltre, dei brani da Attila e dai Due Foscari sono eseguiti negli intervalli tra un atto e l’altro di Ernani e Rigoletto, evidentemente più popolari.

Nel novembre 1855, Rigoletto si conferma uno dei titoli di maggior successo, come commenta Damcke a proposito dell’interpretazione di Tamberlick nel ruolo del Duca di Mantova:

Egli ha ripreso il rango supremo che da qualche anno occupa nel favore del pubblico. La cavatina dell’ultimo atto [La Donna è mobile], come il quartetto che segue [Bella figlia dell’amore], che è il miglior pezzo della partitura, hanno avuto gli onori del bis.2

La recensione testimonia che il pubblico russo di metà Ottocento si entusiasmava per gli stessi pezzi che applaudiamo ancora oggi, tanto da ‘far venir giù il teatro!’: 

Con la stessa rapidità e con uno straordinario consenso di pubblico, si susseguono, nella stagione seguente, le rappresentazioni dei Lombardi alla prima crociata, dei Vespri siciliani, del Trovatore e di Macbeth, oltre alle repliche dei titoli già eseguiti. Il monopolio del Cigno di Busseto disturba curiosamente un recensore anonimo che, sotto le iniziali H. A., commenta con un certo fastidio:

Spero che [l’amministrazione teatrale] penserà a variare i nostri piaceri, e che la presenza di Lablache [celebre basso rossiniano], che è deciso a non uscire più dal suo repertorio comico, ce ne garantirà a sufficienza. Quale che sia l’entusiasmo che suscita Il Trovatore e la stima che tutti portano a Rigoletto, sarebbe utile, nell’interesse stesso di Verdi, di alternarlo qualche volta con altri maestri. Il fanatismo e la noia sono spesso più vicini di quanto non si pensi!3

La lamentela del corrispondente resterà inascoltata, visto che il trionfo di Verdi sarà inarrestabile grazie ai due capolavori successivi, prontamente esportati sulle scene russe: La Traviata e Un Ballo in Maschera.

Nel 1861 Verdi, ormai conteso da tutti i teatri d’Europa, riceve la proposta di scrivere una nuova partitura per l’Opéra di Parigi, ma le trattative, cosa non infrequente per l’epoca, si arenano bruscamente. I motivi che spingono il maestro a rifiutare il contratto sono esposti in un articolo di Léon Escudier, editore di Verdi in Francia e direttore del periodico L’Art Musical:

Siamo sorpresi di vedere che questo grande artista, pur amando la Francia, si ostina a non voler comporre per le nostre scene francesi, e ci domandiamo quale motivo possa avere. Questo è ciò che gli abbiamo sentito dire e che siamo autorizzati a pubblicare: il Théâtre-Italien di Parigi ha intentato contro Verdi diversi processi che hanno ferito vivamente la sua dignità di artista [per il permesso di rappresentare Ernani e Rigoletto, tratte dai drammi di Victor Hugo]. Questi processi che hanno avuto lo scopo di contestargli i diritti, il direttore del Théâtre-Italien li ha vinti; inoltre lì hanno rappresentato le sue opere – vecchie e nuove – senza il suo consenso, e troppo spesso sono state interpretate così male da rendere irriconoscibile l’ispirazione del compositore. Il signor Verdi, con l’approvazione di tutte le persone di buon cuore, resterà lontano dalle scene francesi finché l’atteggiamento del Théâtre-Italien nei suoi confronti non cambierà. Il maestro è indignato nel constatare che a Parigi, il centro della civiltà, ci si possa impadronire impunemente delle sue opere senza che lui abbia il diritto di opporsi.4

Emerge, da questa dichiarazione, l’orgoglio del compositore nel difendere il proprio lavoro dalle appropriazioni indebite e nel voler garantire la corretta esecuzione delle proprie opere, spesso stravolte e abusate, e non solo in Francia: celebri sono le sue lamentele per gli allestimenti scaligeri. Verdi rivolge quindi l’attenzione al Baltico per la prima rappresentazione dell’opera, poi conosciuta come La Forza del Destino, con la collaborazione di uno dei suoi librettisti d’elezione: Francesco Maria Piave. Decisiva è la mediazione del già menzionato tenore Tamberlick, oggi ricordato per i suoi impressionanti do di petto nei ruoli principali di Ernani e del Trovatore. A lui si devono, infatti, i primi contatti di Verdi con l’ambiente teatrale pietroburghese. Soddisfatto per aver firmato il contratto per la rappresentazione della nuova opera a San Pietroburgo, Verdi scrive a Tamberlick il 18 giugno 1861, dando prova dello spirito pratico e della schiettezza che lo contraddistinguono:

Eccovi la scrittura firmata, e scusate se ho tardato tanto. Ho aggiunto il paragrafo che desideravate; ho eccettuato i casi di malattia etc… perché se dovessi ammalarmi per qualche tempo, o mi rompessi una gamba, un braccio in una strada ferrata, sarebbe crudele di pagare, oltre il male, sessantamila franchi. Del resto state tranquillo; la mia parola vale più di tutte le scritture. […]. Confido in voi.5

La genesi della Forza e delle sue prime rappresentazioni si rivela particolarmente travagliata, a corroborare la pessima fama di questo titolo verdiano, ancora oggi ingiustamente associato alla cattiva sorte dai superstiziosi (anche tra gli addetti ai lavori). In una lettera del 26 ottobre 1861 a un amico tenore, Gaetano Fraschini, Verdi si concede questo sfogo dalla sua villa di Sant’Agata:

[…] Spero aver finito con quella maledetta Forza del destino alla metà del venturo [novembre]. Avrò da istrumentare [orchestrare], ma quello è nulla. Ogni quarto d’ora è buono per procedere nel lavoro. Ti scrivo in fretta e furia e corro al mio martirio.6

E ancora a Tamberlick, il mese successivo:

L’opera è finita dal lato composizione, mi resta solo a metter in partitura i due ultimi atti, e l’istrumentazione che farò durante le prove a cembalo […].7

Verdi descrive con dovizia di particolari il numeroso cast di cui necessita per la prima e si accinge a partire per San Pietroburgo insieme alla moglie, la soprano Giuseppina Strepponi. Le sue brevi annotazioni ci permettono di ricostruire l’affascinante processo creativo di un’opera al tempo. Prima il teatro ingaggiava il compositore per la scrittura e ne stabiliva il compenso; poi iniziava la stesura di arie e recitativi, a cominciare dalle parti principali (canto e pianoforte, ma anche primi violini: una bozza di lavoro che oggi viene chiamata partitura-scheletro); infine, e solo all’ultimo, si procedeva all’orchestrazione completa, che avveniva quando il maestro aveva già iniziato le prove con i cantanti in teatro, come ci informa Verdi. 

In una lettera a Tito Ricordi del 21 dicembre 1861, il maestro, di buonumore, commenta il proprio arrivo a San Pietroburgo:

Sono qui da 15 giorni, e Piave ti avrà dato mie notizie: inutile dunque dirti che il viaggio non è poi tanto spaventoso, e che il freddo qui non si soffre affatto.8

Durante le prove sopraggiunge l’imprevisto: la soprano Emmy Lagrua, per la quale Verdi aveva scritto la parte di Leonora, si ammala e rimette il ruolo nelle sue mani, lasciandolo libero di affidarlo a un’altra prima donna. Lui non si perde d’animo, anzi si rallegra per il contrattempo, come comunica a Ricordi in una lettera del 24 gennaio 1862:

La La Grua è ammalata, e le altre donne non convenendomi per dare l’opera nuova, si è fissato di darla nella futura stagione al mese di novembre. Questa combinazione è buona per me, per l’esecuzione dell’opera per tutto, e per tutti. Così avremo anche tempo di fare le riduzioni [per canto e pianoforte] perché istromenterò [orchestrerò] l’opera a Sant’Agata. Ho ritirato tutte le parti: però oggi stesso in casa mia si farà una ripetizione [prova] con tutti quei cantanti che dovranno cantarla l’anno venturo.9

L’opera va finalmente in scena il 10 novembre 1862. Nei mesi immediatamente precedenti, Verdi intrattiene una fitta corrispondenza con Ricordi per distribuire le parti, rapidamente e a buon prezzo, al direttore del teatro di Madrid, Prosper Bagier, che la metterà in scena poco tempo dopo. Per questo La Forza è conosciuta in due versioni: quella originaria, di San Pietroburgo-Madrid, e quella milanese, modificata per La Scala del 1869, in cui il compositore apporta diverse modifiche al fine di rendere l’azione più serrata, aggiunge l’ouverture iniziale e attenua la strage del finale originario lasciando in vita il protagonista, Don Alvaro.

Intanto, al Bol’šoj fervono i preparativi per la prima tanto sospirata, che finalmente porrà San Pietroburgo sotto i riflettori della stampa europea. Il compositore più celebre sulla scena internazionale, l’autore dell’acclamata trilogia popolare, ha scritto la sua nuova opera proprio per il palcoscenico russo! I corrispondenti europei, giunti al Bol’šoj per la prima, sono pronti a scrivere dei vivaci resoconti per il pubblico di lettori in patria, affamato di dettagli. Sulla scena pietroburghese si avvicendano, per tutto il mese di ottobre 1862, le repliche di Un Ballo in Maschera e di Ernani. Il teatro, come ci informa entusiasticamente un recensore anonimo, si dota di magnifici lampadari di fattura inglese, destando l’ammirazione generale, e le scenografie e gli arredi non sono mai stati più sontuosi. Finalmente l’opera va in scena, con Caroline Barbot nel ruolo di Leonora (la La Grua, sfortunatamente ancora malata, interrompe il contratto con il teatro); Tamberlick nel ruolo di Don Alvaro; Constance Nantier-Didiée, sua moglie, nel ruolo di Preziosilla; Francesco Graziani nel ruolo di Don Carlos; Fernando Meo nel ruolo del Marchese di Calatrava e Debassini nel ruolo di Fra’ Melitone.

Fin dal primo ascolto, colpisce la melodia incisiva, nervosa e caratteristica della Forza: questa cellula pulsante di “ironia tragica” ricorre ossessivamente nei momenti cruciali dell’opera, come rileva un attento recensore russo:

Intorno ad essa si raggruppano canti d’amore, grida di vendetta e di morte, arie di danza, lamenti desolati e salmodie di mendicanti; rumori di battaglia, canzoni guerriere o gioiose, provocazioni e anatemi, preghiere che salgono al cielo o sprofondano negli abissi; a volte l’organo spande in generosi effluvi le armonie benedette; a volte scoppia il tuono, mescolando il proprio clamore con ciò che la disperazione umana ha di più straziante; si succedono i sentimenti più vari, i contrasti spuntano come funghi. Ma sempre tutte queste situazioni, che siano tristi fino all’angoscia più insopportabile o gaie fino alla buffoneria, l’ispirazione del maestro le sostiene, la sua musica espressiva traduce felicemente queste sensazioni molteplici e spesso, tra l’arte e la poesia, arriva a certi effetti che si possono solo provare e non descrivere, e che sono il marchio del vero genio.10

Opera Otello by Giuseppe Verdi at the Mariinsky Theatre in Saint Petersburg, November 26, 1887, 1887. Found in the collection of Russian National Library, St. Petersburg. (Photo by Fine Art Images/Heritage Images/Getty Images)Opera Otello by Giuseppe Verdi at the Mariinsky Theatre in Saint Petersburg, November 26, 1887, 1887. Found in the collection of Russian National Library, St. Petersburg. (Photo by Fine Art Images/Heritage Images/Getty Images)Opera Otello by Giuseppe Verdi at the Mariinsky Theatre in Saint Petersburg, November 26, 1887, 1887. Found in the collection of Russian National Library, St. Petersburg. (Photo by Fine Art Images/Heritage Images/Getty Images)
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Opera Otello by Giuseppe Verdi at the Mariinsky Theatre in Saint Petersburg, November 26, 1887, 1887. Found in the collection of Russian National Library, St. Petersburg. (Photo by Fine Art Images/Heritage Images/Getty Images)

Seguono altri commenti positivi, che descrivono il grande successo di questa première, grazie alla bravura degli interpreti (in particolare Tamberlick e Graziani, che sono richiamati più volte sulla scena) e al meraviglioso allestimento. Un recensore francese elogia il solo del clarinetto al terzo atto, eseguito nientemeno che dal virtuoso Ernesto Cavallini, e conclude:

[…] la messa in scena e i costumi sono splendidi; i quadri magnifici. Sono stati notati soprattutto quelli che raffigurano, al secondo atto, l’esterno del convento della Madonna degli Angeli al chiaro di luna; quelli del campo spagnolo al terzo atto e, soprattutto, l’interno del chiostro del convento grazie a una bella riproduzione della luce solare. La tempesta che accompagna l’ultimo quadro, il vento, la pioggia, i lampi, fanno onore al talento del macchinista, signor Roller, e dello scenografo, signor Wagner.11

Lo spettacolo, anche grazie al contributo prezioso di questi due professionisti, oggi caduti nell’oblio, dovette essere superbo per coloro che ebbero la fortuna di assistervi: la première fu un evento imperdibile per i melomani del tempo, e non solo. Anche lo scrittore Aleksandr Vasil’evič Nikitenko, allora censore per la corte di Nicola I, stronca come d’abitudine il libretto, ma loda gli interpreti, abbandonandosi, secondo la moda del tempo, alla nostalgia per le glorie passate:

Serata a teatro alla rappresentazione della nuova opera di Verdi: La forza del destino. Il soggetto pare un cattivo melodramma, ma nella musica c’è molta brillantezza ed energia. La Barbot e Graziani, mi pare, abbiano superato se stessi. È dai tempi della Viardot e di Rubini che la musica non mi faceva quest’effetto. Specialmente Graziani: certi suoni della sua voce sono come un fruscio d’ali dell’anima quando si eleva all’empireo dei propri ideali.12

Ancor più eloquente è il “Giornale di San Pietroburgo”, che dedica diverse colonne alla musica e al libretto dell’opera ed è particolarmente attento alle reazioni del pubblico. Non solo Verdi è richiamato a più riprese sul palcoscenico, ma anche i meno entusiasti, quando cala il sipario, riconoscono che «l’opera appena ascoltata è scrupolosamente curata e potente, e qui il talento del maestro si è sempre mantenuto all’altezza di ciò che ha prodotto finora, e si è superato in diversi punti».

Léon Escudier, attentissimo alla pubblicità internazionale di Verdi, scrive con entusiasmo: 

Tutti sono d’accordo nel riconoscere che La Forza del Destino è un capolavoro, il più bello, il più completo, il più grandioso mai uscito dalla mente dell’autore del Trovatore e di Rigoletto. […] Di tutte le opere di Verdi, è la più completa per l’ispirazione e la ricchezza delle melodie, ma anche dal punto di vista dello sviluppo musicale e dell’orchestrazione.13

Tuttavia, non mancano le critiche, e non solo in Russia. Diversi commentatori denunciano, come al solito, la propensione di Verdi per i soggetti violenti e sanguinosi, soprattutto a proposito degli eccessi tragici del finale. Il compositore, certamente esasperato dai giudizi negativi, se ne lamenta con Ricordi:

Si dice che la Forza del destino sia troppo lunga, e che il pubblico sia spaventato dai tanti morti! D’accordo: ma una volta ammesso il soggetto come si trova altro scioglimento? Il terzo atto è lungo?! Ma quale è il pezzo inutile? L’accampamento forse? Chi sa! Messo in scena come si deve non riescirebbe inferiore alla scena dell’osteria.14

Il maestro scioglierà solo diversi anni dopo queste e altre perplessità drammaturgiche, nella versione scaligera dell’opera.

È certo che la prima della Forza contribuì a sancire il successo di Verdi in Russia, al di là delle polemiche – alle quali davano voce soprattutto i critici filo-nazionalisti – e dei cambiamenti nel gusto del pubblico. Contro Verdi e la tradizionale struttura in numeri chiusi dell’opera italiana, nella ‘solita forma’ fatta di arie e recitativi, cospirava, infatti, il crescente successo di Richard Wagner, la cui “rivoluzione” teatrale non era ben vista dal maestro di Busseto. Nonostante egli recepisca, a modo suo, alcuni aspetti innovativi dell’“opera d’arte totale”, rimprovera al compositore tedesco la lentezza dell’azione, un difetto imperdonabile per un uomo di teatro come lui. Le sue impressioni all’uscita dal Lohengrin, qualche anno dopo, sono ben poco lusinghiere:

Totale – Impressione mediocre. Musica bella, quando è chiara e vi è il pensiero. – L’azione lenta come la parola. Quindi noia. Effetti belli d’istromenti. Abuso di note tenute e riesce pesante. Esecuzione mediocre. Molta verve, ma senza poesia e finezza. Nei punti difficili cattiva sempre.15

La popolarità di Verdi in Russia non conobbe declino, e fu consolidata dai successi che seguirono la Forza: Don Carlos e Aida, nonché da una nuova stella e interprete verdiana conosciuta a livello mondiale: Adelina Patti. Molte rappresentazioni del Bol’šoj confluirono nel teatro Mariinskij, fino alla chiusura definitiva del teatro più vecchio, nel 1886. La grande mostra La forza e il destino. La fortuna di Verdi in Russia, ospitata nel 2001 dal Museo Civico Archeologico di Bologna in occasione del centenario della morte del compositore, ha inseguito fedelmente le alterne vicende di Verdi, delle sue opere e dei suoi interpreti per oltre un secolo: dalla compagnia italiana a quella russa, dalla Rivoluzione d’ottobre agli anni Cinquanta del Novecento. La rassegna, patrocinata dal Comune e dalla Fondazione Teatro Comunale di Bologna, ha radunato per l’occasione bozzetti di scena, costumi, fotografie d’epoca, manifesti e figurini degli allestimenti russi, consultabili nel ricco volume del catalogo dato alle stampe, a testimonianza dell’intramontabile fama del Cigno di Busseto. 

Mariinski-Theater, St. Petersburg, (ehemals Leningrad), Russland, Europa, Gebäude, Reise, (Photo by Peter Bischoff/Getty Images)
Mariinski-Theater, St. Petersburg, (ehemals Leningrad), Russland, Europa, Gebäude, Reise, (Photo by Peter Bischoff/Getty Images)


1 B. Damcke, Correspondance. Saint-Pétersbourg, 28 avril (10 mai) 1853, «La Revue et Gazette Musicale de Paris», 29 maggio 1853, XX n. 22, pp. 197-98. 
2 B. Damcke, Chronique musicale de Saint-Pétersbourg, «La Revue et Gazette Musicale de Paris», 25 novembre 1855, XXII n. 47, pp. 369-70. 
3 H. A., Correspondance. Théâtre Italien de Saint-Pétersbourg. - Saison de 1856-1857, «La Revue et Gazette Musicale de Paris», 9 novembre 1856, XXIII n. 45, p. 361.
4 Léon Escudier, Pourquoi M. Verdi n'écrit pas pour l'Opéra, «L’Art Musical», 12 giugno 1862, II n. 28, p. 223.
5 Giuseppe Verdi, Libretti; Lettere, a cura di Michele Porzio; con un saggio introduttivo di Philip Gossett; Milano, Mondadori, 2000, Lettera del 18 giugno 1861 a Enrico Tamberlick, «La Forza del Destino», I.
6 Ibid., Lettera del 26 ottobre 1861 a Gaetano Fraschini, «La Forza del Destino», II.
7 Ibid., Lettera del 22 novembre 1861 a Enrico Tamberlick, «La Forza del Destino», III.
8 Giuseppe Verdi, Lettera del 21 dicembre 1861 a Tito I Ricordi [San Pietroburgo], in Archivio Storico Ricordi (raccolta digitale delle lettere): https://www.digitalarchivioricordi.com/it/collection/lettere?sender=Giuseppe+Verdi&date_from=21%2F12%2F1861&date_to=21%2F12%2F1861&show=10.
9 Giuseppe Verdi, Lettera del 24 gennaio 1862 a Tito I Ricordi [San Pietroburgo], in Archivio Storico Ricordi (raccolta digitale delle lettere): https://www.digitalarchivioricordi.com/it/collection/lettere?sender=Giuseppe+Verdi&date_from=24%2F01%2F1862&date_to=24%2F01%2F1862&show=10.
10 Anon., Extrait du Journal de Saint-Pétersbourg, in La Forza del destino, nouvel opéra en 4 actes, de G. Verdi, «L’Art Musical», 20 novembre 1862, II n. 51, p. 406. 
11 S. D., Correspondance. Théâtre Italien de Saint-Pétersbourg, «La Revue et Gazette Musicale de Paris»,16 novembre 1862, XXIX n. 46, pp. 371-72.
12 Cit. in Maria Rosaria Boccuni e Anna Gianotti (a cura di), La forza e il destino: La fortuna di Verdi in Russia, (catalogo della mostra omonima), Bologna, Editrice Compositori, 2001, p. 42.
13 Léon Escudier, La Forza del Destino – Opéra en 4 actes, «L’Art Musical», 27 novembre1862, II n. 52, pp. 411-18, p. 411.
14 Giuseppe Verdi, Libretti; Lettere, Lettera del 14 maggio 1863 a Tito Ricordi, «La Forza del Destino», V.
15 Giuseppe Verdi, Libretti; Lettere, Un giudizio su «Lohengrin», 19 novembre 1870, p. 910.


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Maria Boccuni, Maria Rosaria Gianotti (a cura di), La forza e il destino: La fortuna di Verdi in Russia, (catalogo della mostra omonima), Bologna, Editrice Compositori, 2001.
Eduardo Rescigno, La Forza Del Destino Di Verdi, Milano, Emme, 1981.
Giuseppe Verdi, Libretti; Lettere, a cura di Michele Porzio; con un saggio introduttivo di Philip Gossett; Milano, Mondadori, 2000.