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Il riso e il pianto nell’opera verdiana
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Il riso e il pianto nell’opera verdiana
Come esprimere in musica la gioia e il dolore, le lacrime e il riso? Le soluzioni musicali di Verdi per esprimere i sentimenti e le loro sfumature.
Autore: Paola Cossu

Tutti gli esseri umani piangono. Tutti gli esseri umani ridono. Dico esseri umani perché, ad oggi, nessun altro animale è capace di piangere per commozione o ridere di gusto. Attraverso le lacrime l’essere umano esprime emozioni e sentimenti. Si piange per un dolore fisico, per una sofferenza emotiva o per la perdita di una persona cara. Ci sono lacrime di tristezza, di dispiacere, ma anche di rabbia, di frustrazione e addirittura di gioia! E ci sono anche lacrime trattenute e mai versate. Il pianto si manifesta al momento della nascita ed è la prima forma di comunicazione del neonato. Con il passare del tempo, attraverso le lacrime, l’essere umano esprime i suoi bisogni primari: fame, sete, bisogno di accudimento. Successivamente, esprimerà emozioni e sentimenti più complessi: dolore, disperazione, tristezza, offesa, felicità.

Delle lacrime, che siano di pianto o di riso, sappiamo che fanno parte di un processo fisiologico che coinvolge in egual maniera le ghiandole dei dotti lacrimali e l’attività ormonale. Le lacrime, quindi, avrebbero anche una funzione depurativa e, attraverso le lacrime, il corpo si libererebbe di sostanze che, in quantità eccessive, potrebbero risultare dannose. Il concetto del pianto come fenomeno catartico, fisiologico e non, nasce in tempi antichi. Per Ippocrate, le lacrime erano prodotte dal cervello e servivano a regolare il flusso e la concentrazione degli umori. In pratica, il pianto si verifica spesso quando non siamo in grado di verbalizzare adeguatamente emozioni complesse.

E che dire della reazione che suscita vedere le lacrime altrui? Di fronte ad un pianto le reazioni possono essere diverse: imbarazzo, compassione, rabbia, tristezza, evitamento. Molte teorie psicologiche hanno dimostrato che l’essere umano ha la possibilità di creare un concreto legame sociale con l’altro attraverso il pianto perché le lacrime manifestano la vulnerabilità, in particolare gli studi sostengono che vedere qualcuno che piange innesca automaticamente un meccanismo di coinvolgimento emotivo. Infatti si è più propensi ad aiutare qualcuno che piange poiché viene percepito come sensibile, sincero e non aggressivo, emotivamente instabile e debole.

Negli ultimi decenni sull’argomento sono state fatte molte ricerche psicologiche, sociologiche, filosofiche, storiche, antropologiche e neurologiche. Ma in campo musicale cosa sappiamo? Cosa sappiamo delle lacrime nell’arte – la musica – che più di tutte è in grado di evocare emozioni che la parola non riesce a raggiungere?

Senza addentrarci nell’impervio terreno del rapporto parola-musica che da secoli interessa gli studi musicologici, possiamo però ricordare che la musica, da sempre, cerca di assumere una forma il più simile possibile a quella del sentimento espresso dal testo. Questo, fin dal Rinascimento, ha interessato i più curiosi tra i trattatisti (basti pensare all’Affektenlehre). E nell’opera lirica?

Molti studi si sono occupati delle lacrime nell’opera lirica di varie nazionalità e di vari periodi, e hanno individuato una serie di note che caratterizzano proprio i passaggi particolari in cui deve essere percepita sofferenza. Ne sono un esempio il tetracordo discendente (una serie di quattro note che segue un movimento discendente) o il semitono dolente (due note discendenti a distanza ravvicinata). Questa serie di note così in successione vengono percepite dall’ascoltatore, individuate e codificate come portatrici di simbologia sonora. Molti studi infatti hanno provato che la musica è l’unica arte in grado di rapportare per associazione alcune emozioni a ciò accade, perché la musica è capace di imitare con una certa precisione l’inflessione della voce durante il verificarsi di un determinato comportamento emozionale, come avviene appunto nel riso e nel pianto. E la serie di suoni che più si avvicina a questo è proprio quella di quattro note discendenti o due note molte ravvicinate tra loro (come nel caso di quello che viene chiamato semitono). 

Da numerosi studi musicologici (tra i più estesi e approfonditi sono da ricordare quelli di Marco Beghelli) è emerso che Giuseppe Verdi è il compositore che meglio ha saputo optare per delle scelte musicali che fossero capaci di rendere non solo le emozioni e i sentimenti, ma anche le loro sfumature; proprio utilizzando, in particolare, il semitono dolente. L’inflessione semitonale in particolare in Verdi acquisisce una grande forza narrativa. Possiamo in questo caso portare tre esempi da tre opere verdiane.

Il primo è presente nel primo atto del Rigoletto quando Gilda, all’oscuro del lavoro di buffone di corte del padre, gli domanda se lui abbia una patria, dei parenti o degli amici e lui risponde riprendendo le tre identiche parole (patria, parenti e amici). Come sentiremo, Verdi qui ha deciso di utilizzare il semitono come portatore di emozione. Possiamo sentirlo sia nella linea vocale che in orchestra. Gli archi lo ripongono inoltre quasi come fosse (per via delle legature) un’acciaccatura. Il semitono simboleggia l’agitazione del padre che non vuole che la figlia venga coinvolta nelle sue vicende:

LONDON, ENGLAND - SEPTEMBER 10: Carlos Alvarez as Rigoletto in Giuseppe Verdi's Rigoletto directed by Oliver Mears and conducted by Antonio Pappano at The Royal Opera House on September 10, 2021 in London, England. (Photo by Robbie Jack#Corbis/Corbis via Getty Images)
LONDON, ENGLAND - SEPTEMBER 10: Carlos Alvarez as Rigoletto in Giuseppe Verdi's Rigoletto directed by Oliver Mears and conducted by Antonio Pappano at The Royal Opera House on September 10, 2021 in London, England. (Photo by Robbie Jack#Corbis/Corbis via Getty Images)

Un altro esempio è riscontrabile nel Trovatore. Qui il semitono diviene un sound distintivo di una certa tristezza capace di ritrarre con due note uno stato d’animo. L’esempio che ascolteremo è infatti l’inizio del racconto “Condotta ell’era in ceppi”, quando Manrico chiede ad Azucena di raccontargli la storia della madre di lei. Sta per iniziare la cosiddetta “aria di narrazione” che riporta alla luce un’esperienza terrificante, il cui solo ricordo investe i personaggi. L’aria è articolata in frasi brevi e flessibili ed è caratterizzata da una grande ricchezza di sfumature armoniche e ritmiche. Questa pressione è già evidente da questa strofa iniziale in cui il semitono, affidato all’oboe e al violino, è accompagnato dalla pulsazione pressante degli archi: 

SALZBURG, AUSTRIA - AUGUST 04: Francesco Meli (Manrico) is seen during the 'Il Trovator' photo rehearsal on August 4, 2014 in Salzburg, Austria. (Photo by Mandl/Getty Images)
SALZBURG, AUSTRIA - AUGUST 04: Francesco Meli (Manrico) is seen during the 'Il Trovator' photo rehearsal on August 4, 2014 in Salzburg, Austria. (Photo by Mandl/Getty Images)

Il terzo esempio coinvolge invece l’opera Il corsaro. Qui l’inflessione semitonale va a supporto dell’apparato scenografico e contribuisce a dipingere il colore locale attraverso i pianti e i gemiti dei prigionieri: 

Un altro utilizzo dell’inflessione semitonale in Verdi è legata proprio alle lacrime e al pianto. Ovvero l’emblema musicale viene delegato all’orchestra, ed è quindi presente solamente a livello denotativo. Nella comunicazione fra i personaggi nel testo non v’è traccia del pianto. Questa consuetudine si ritroverà poi spesso nella musica per film e non è assolutamente da confondersi, come avverte più volte Marco Beghelli nei suoi lavori, con il segno denotativo legato alla sottolineatura madrigalistica. La delega del pianto all’orchestra lo ritroviamo, per esempio, nel Don Carlo, quando Verdi riesce a far piangere un personaggio muto come la contessa di Aremberg. Nella Romanza del secondo atto Elisabetta saluta con “Non pianger, mia compagna” la contessa, alla quale è stato imposto dal re Filippo II di ritornare in Francia. Il personaggio della contessa è muto, ma Verdi riesce a farla, per così dire, parlare, attraverso l‘orchestra che piange per lei. Il corno inglese, il clarinetto e il fagotto, infatti, intonano il semitono dolente, mentre i flauti riproducono il singhiozzo della ragazza. Anche la scelta strumentale è significativa. Il lamento – in generale e spessissimo in Verdi – è quasi sempre affidato ai legni, in particolare all’oboe o al corno inglese:

Lo stesso accade in Simon Boccanegra nel terzo atto quando Simone, rivolgendosi a un Fiesco momentaneamente muto, gli chiede perché piange senza rivolgergli uno sguardo. Il pianto è ancora una volta delegato all’orchestra: 

L’opera verdiana nella quale l’emblema del lamento e il pianto risultano centrali è indubbiamente l’Otello. Inoltre in quest’opera vi sono più tipologie di pianto: quello di rabbia, quello di gelosia, quello della perdita, quello della furia, etc.

Placido Domingo as Otello and Marina Poplavskaya as Desdemona in the Royal Opera's production of Giuseppe Verdi's "Otello" conducted by Antonio Pappano at the Royal Opera House Covent Garden in London. (Photo by robbie jack/Corbis via Getty Images)
Placido Domingo as Otello and Marina Poplavskaya as Desdemona in the Royal Opera's production of Giuseppe Verdi's "Otello" conducted by Antonio Pappano at the Royal Opera House Covent Garden in London. (Photo by robbie jack/Corbis via Getty Images)

Uno dei primi esempi è il duetto del finale del primo atto. Non c’è un vero e proprio pianto. Otello ricorda il pianto di Desdemona durante un suo racconto. È un pianto che serve per rafforzare l’istinto amoroso, in un contesto passionale. Difatti in orchestra c’è solo un accenno al lamento affidato ai legni: 

In un altro esempio, nel terzo atto, nella grande sala del castello, Otello ha accusato Desdemona di essere infedele, scatenando il pianto della donna. Sono lacrime di supplica, Desdemona chiede a Otello di ricredersi. Poco di seguito piange anche Otello. Si tratta però di due tipi di pianto differente. Desdemona piange per la paura della furia di Otello, lui invece piange per la delusione, per il senso di perdita, è il tipico antieroe moderno che soffre per un dolore individuale e non sociale. Ed è proprio su questo secondo pianto, quando Desdemona chiede “Tu pur piangi?” ad Otello, che riconosciamo l’emblema semitonale: 

Tutto il finale del terzo atto dell’opera è invece permeato dalle lacrime di Desdemona. Anche in questo caso le lacrime sono richiamate dalle parole di altri personaggi. Il concertato dell’atto inizia infatti con le parole di Otello “A terra e piangi” rivolto a Desdemona: 

Da qui in poi il personaggio di Emilia rifletterà il pianto di Desdemona con sentimento di pietà, quello di Lodovico con sentimento di carità e le Dame lo proietteranno sull'immagine degli angeli che piangono per la perdizione di un peccatore. In questo modo l’intero finale d’atto ruota attorno alle lacrime riverberate dagli amici e dalla comunità, e queste lacrime corali risulteranno proprio un momento distensivo rispetto alla tensione creatasi in tutto l’atto.

Nell’opera però il brano che nell’immaginario comune forse fa maggiormente pensare al pianto è la cosiddetta Canzone del Salice, “Piangea cantando”, che Desdemona intona all’inizio del quarto atto: 

L’emblema semitonale del lamento si ritrova poi, ancora una volta, nel Don Carlo, intonato con l’accompagnamento dell’orchestra. Nel terzo atto dell’opera Filippo piange sul cadavere di Rodrigo:

Questo passaggio (come forse qualcuno avrà notato) diventerà poi il “Lagrimosa” della Messa da Requiem verdiana: 

L’emblema semitonale del lamento, infatti, viene spesso utilizzato anche in composizioni non operistiche, e la presenza di questo passaggio in quel capolavoro che è il Requiem di Verdi ha addirittura avvalorato la tesi, portata avanti da numerosi studiosi e tuttora aperta, secondo la quale questa composizione ha una potenza drammaturgica tale da poter essere accostata anche al genere operistico.

Il procedimento della delega all’orchestra dell’atto performativo è particolarmente utilizzato da Verdi anche per il sorriso, il riso e la risata. Il sorriso è ovviamente vocalmente muto e quindi performabile solamente attraverso l’orchestra. Questa tecnica compositiva verrà poi ampiamente utilizzata nel cinema muto, tanto da essere anche mantenuto nei primi anni di quello sonoro. Un esempio in Verdi lo ritroviamo nel secondo atto di Luisa Miller, quando il sorriso diabolico di Wurm non può essere reso vocalmente e viene affidato all’orchestra tramite l’uso di trilli strumentali in zona medio grave. Nella partitura, in corrispondenza di questo passaggio si legge proprio nelle didascalie "un sorriso diabolico spunta sul labbro di Wurm". Verdi infatti vuole proprio sottolineare la perfidia del castellano, che promette a Luisa, della quale si è invaghito, di liberare suo padre a condizione che la giovane scriva una lettera in cui confessa falsamente di aver raggirato Rodolfo, pur sapendo che la lettera finirà nelle mani di Rodolfo stesso: 

La risata invece è ben evidente in Un ballo in maschera nell’attacco di Riccardo del famoso quintetto con coro “È scherzo od è follia”, nel finale del primo atto. Riccardo reagisce alla profezia della maga Ulrica, che gli comunica che qualcuno dei suoi amici complotta contro di lui e profetizza che la prima persona che gli stringerà la mano sarà colui che lo ucciderà. Verdi qui da compositore si trasforma in drammaturgo, riuscendo a rendere lo scetticismo beffardo di Riccardo, tramite l’utilizzo di un ritmo puntato che ricrea lo sghignazzo anche attraverso l’uso di legati a due e pause di semicroma, il tutto arricchito musicalmente da intervalli di terza minore, quarta giusta e da note staccate: 

Nell’ultima opera verdiana invece, il Falstaff, sono presenti varie tipologie di lamento, che spaziano tra la tristezza e la comicità. Troviamo, ad esempio, il pianto comico di deformazione sia nel primo atto nel lamento di Bardolfo sia in quello di Falstaff del terzo atto, troviamo un tipo di pianto serio (sebbene l’opera sia una "commedia lirica") nel pianto di Nannetta del secondo atto e infine troviamo un pianto di finzione in quello di Alice del terzo atto. L’aspetto interessante è che questi quattro momenti di pianto dell’opera possono essere divisi in due gruppi, da una parte il pianto comico, affidato ai personaggi maschili, dall’altro quello serio, affidato ai personaggi femminili. In Falstaff, come è stato evidenziato da diversi studi, le differenze tra personaggi maschili e femminili sono espresse sia a livello metrico-musicale sia metrico-linguistico. Ed è quindi facile supporre che questa distinzione si possa applicare anche a livello drammaturgico-musicale riguardo al tema del pianto. Il lamento degli uomini è senza dubbio di tipo comico, in entrambe le tipologie è presente quella esasperazione e deformazione che porta alla comicità e che si ricollega all’autocaricatura del Falstaff di cui parla Marco Beghelli. Nel lamento di Bardolfo, invece, l’inflessione semitonale che ormai abbiamo imparato a riconoscere è utilizzata tramite l’espediente della deformazione e dell’esagerazione proprio tramite l’uso della delega all’orchestra. Nell’esempio che sentiremo tra poco, infatti, Verdi affida agli oboi e ai clarinetti (strumenti tipici del lamento) il mal di pancia di Bardolfo nella prima scena del primo atto: 

Nel lamento di Falstaff l’intervallo semitonale è espresso da Verdi come gesto musicale diretto, il personaggio canta il semitono direttamente per esprimere il lamento dei pizzichi e degli spintoni ricevuti durante la scena in cui, nella foresta, tutti sono travestiti e iniziano a prendersi gioco di Falstaff. Qui l’intervallo del lamento, proprio a seguito dell’operazione di deformazione, si trasforma in intervallo di tono. Si sentono gli staccati che indicano il pizzicare e le quartine discendenti che indicano il rotolare. Falstaff canta in acciaccatura l’intervallo di tono con le parole del lamento. L’acciaccatura ovviamente è caratteristica dello stile brillante e contribuisce alla comicità del lamento stesso: 

Il pianto delle donne invece non è affatto comico. Nel primo caso è serio. Il pianto di Nannetta (che piange perché suo padre Ford vuole che sposi il Dr. Cajus) è in realtà un pianto di rabbia verso il padre. Qui il pianto è espresso dall’oboe con un gioco di acciaccature e cromatismi sincopati tipici del pianto: 

E nel secondo caso troviamo le cosiddette "lacrime false nella finzione". Riguarda infatti un pianto finto, “messo in scena”, per così dire, da Quickly, che d’accordo con Alice fa credere a Falstaff che lei stia piangendo disperata per il fatto che il primo incontro tra i due non sia andato a buon fine. Noi capiamo che Alice piange sempre grazie all’espediente della delega all’orchestra. Gli oboi e i clarinetti esprimono il pianto, sia attraverso il semitono dolente, che attraverso il ritmo sincopato, o meglio, attraverso l’accento posto sul tempo debole della battuta:

Questa commistione tra serio e buffo, tipica del teatro shakespeariano, è presente in Verdi però anche in opere ben precedenti. È il caso del famoso quartetto del Rigoletto, in cui i quattro personaggi (il Duca, Maddalena, Rigoletto e Gilda) esprimono simultaneamente stati d’amico contrastanti. Da una parte il Duca e Maddalena, ridenti e spensierati, dall’altra Rigoletto e Gilda che spiano la scena e sono in preda alla disperazione. Musicalmente Verdi riesce a rendere questo contrasto attraverso l’uso di figure melodiche che si dividono tra il belcanto ascendente del Duca e le risate staccate di Maddalena da una parte e il pianto lamentoso di Gilda sorretto dalla staticità di Rigoletto dall’altra: 

Verdi, quindi, come abbiamo avuto modo di ascoltare, è stato uno dei compositori che sono riusciti a dare all’orchestra una grande forza narrativa utilizzando l’inflessione semitonale allo scopo di creare situazioni legate al pianto e al riso. Il semitono dolente, spesso affidato ai legni, si è rivelato portatore di emozioni, sound distintivo capace di ritrarre uno stato d’animo, supporto di un apparato scenografico, contribuendo a dipingere il colore locale. In particolare, abbiamo avuto modo di notare che l’emblema musicale che viene delegato all’orchestra si rivela particolarmente significativo riuscendo a rendere diverse tipologie di pianto (come quello di rabbia, di supplica, di paura, di pietà) e di riso (creando ilarità, sottolineando talvolta lo scetticismo di alcuni personaggi o contribuendo ad una certa deformazione per creare comicità). Spesso le lacrime, in particolare quelle corali dei finali d’atto, si fanno portatrici di una distensione della tensione accumulata. Abbiamo notato poi che le varie tipologie di pianto, serio e comico, sono presenti in alcuni esempi simultaneamente, e legano le scelte musicali a quelli drammaturgiche (come il caso del pianto maschile e femminile del Falstaff e quello del pianto e del riso del famoso quartetto del Rigoletto).


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Marco Beghelli, Lingua dell’autocritica nel "Fastaff", in Opera & Libretto II, a cura di Gianfranco Folena, Maria Teresa Muraro, Giovanni Morelli, Firenze, Olschki, 1993, pp. 351-380.
Marco Beghelli, L’emblema melodico del lamento: il semitono dolente, in Verdi 2001, Atti del Convegno Internazionale, Parma – New York – Hew Haven, 24 gennaio–1 febbraio 2001, a cura di Fabrizio Della Seta, Roberta Montemorra Marvin, Marco Marica, Firenze, Olschki, 2003, pp. 241-280.
Marco Beghelli, La retorica del rituale nel melodramma ottocentesco, Parma, Istituto Nazionale di Studi verdiani, 2003.
Julian Budden, Le opere di Verdi, Torino, EDT, 1988
Michel Imberty, Suoni, emozioni, significati: per una semantica psicologica della musica, Bologna, Clueb, 1986.
Tom Lutz, Storia delle lacrime, Milano, Feltrinelli, 2002.
Marco Menin, La filosofia delle lacrime: il pianto nella cultura francese da Cartesio a Sade, Bologna, Il mulino, 2019.